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CITAZIONI
Alcuni degli autori da me preferiti e una loro idea di fotografia.
E. Atget, Parigi (13° arr.), 1910

Eugène Atget (1857-1927)

(...) Negli ultimi vent’anni, grazie ai miei sforzi e la mio spirito d’iniziativa, ho collezionato fotografie 18x24 cm d’ogni angolo della vecchia Parigi, fornendo un documento artistico della migliore architettura urbana dal XVI al XIX secolo. (...) Quest’enorme raccolta è finalmente completa. Posso dire d’essermi impossessato di tutta la vecchia Parigi.
 
[cit. in Andreas Krase, Paris Eugène Atget, ed. Hans Christian Adam, Taschen, Colonia 2001]
A. Kertész, Budapest, 1914

André Kertész (1894-1985)

​“Le tue foto parlano troppo (...) abbiamo bisogno solo di foto documentarie” dissero un giorno i reporter della rivista “LIFE” a Kertész. "Non ci posso fare niente, le mie foto parlano, non riesco a mettere mano alla macchina fotografica senza esprimermi”, rispose il fotografo.

[cit. in Pierre Borhan, André Kertész. Lo specchio di una vita, ed. Federico Motta Editore, Milano 1998]
Brassai, Il fornaio, Parigi, 1930 ca.

Brassai (1899-1984)

​Due doni contraddistinguono l’artista, il creativo: da un lato una certa sensibilità per la vita e dall’altro la capacità di coglierla in un determinato modo. (...) Ho sempre considerato la struttura formale di una foto e la sua composizione tanto importanti quanto il soggetto stesso. Bisogna eliminare tutto ciò che è superfluo, dirigere lo sguardo con una volontà d’acciaio. E catturare quello dello spettatore e condurlo a ciò che è realmente interessante.

[cit. in Jean-Claude Gautrand, Brassai, ed. Taschen, Colonia 2004]
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Paolo Monti (1908-1982)

​Fotografare vuol dire creare delle immagini che, staccate dalla realtà dalla quale trassero origine, mostrino nel breve spazio della loro superficie una realtà nuova, conclusa nei limiti dell’inquadratura. (…) Nulla mi sembra più inutile di tante polemiche su cosa si deve o non si deve fotografare. Si può fotografare tutto, e con la più ampia libertà di intenti e di tecnica. La fotografia in bianco e nero ha, per me, esattamente il significato letterale della definizione e mi valgo dei bianchi più candidi e dei neri più intensi secondo le necessità, anche sacrificando i famosi “particolari” delle luci e delle ombre quando è indispensabile per certi effetti espressivi.

[cit. in Paolo Monti. Scritti e appunti sulla fotografia, a cura di Roberta Valtorta, Museo di Fotografia Contemporanea, ed. Lupetti, Milano 2008]
H. C. Bresson, Hyères, Francia, 1932

Henri Cartier Bresson (1908-2004)

​La macchina fotografica è per me un blocco di schizzi, lo strumento dell’intuito e della spontaneità, il detentore dell’attimo che, in termini visivi, interroga e decide nello stesso tempo. Per “significare” il mondo bisogna sentirsi coinvolto in ciò che si inquadra nel mirino. Questo atteggiamento esige concentrazione, sensibilità, senso geometrico. È attraverso un’economia di mezzi e soprattutto l’abnegazione di sé che si raggiunge la semplicità espressiva.

[cit. in Henri Cartier Bresson Fotografo, prefazione di Yves Bonnefoy, ed. Alinari, Firenze 1992]
W. Ronis, Gordes, 1959

Willy Ronis (1910-2009)

​Ci si potrebbe sorprendere, non delle sorprese del caso, - sono così frequenti - ma del fatto che il fotografo sia spesso presente per coglierle.

[cit. in Willy Ronis. Le regole del caso, ed. Contrasto, Roma 2014]
E. Smith, New York, 1957

Eugene Smith (1918-1978)

​Talvolta dalla mia finestra osservo con il gusto di uno spettatore a teatro. Dal caos della grande città, isolo i dettagli e do loro una forma coerente.

[cit. in AA.VV.,  W. Eugene Smith. Il senso dell’ombra, ed. Federico Motta Editore, Milano 1999]
F. Ferroni, Argine del Misa, 1957

Ferruccio Ferroni (1920-2007)

​Mi piaceva molto fotografare le cose semplici, umili, come il legno; quelle cose nelle quali io riuscivo a vedere qualcosa che andava oltre alla loro forma, alla loro superficie e che nel procedimento fotografico perdevano la loro identità reale per acquisirne una più astratta.

[cit. in AA.VV., Ferruccio Ferroni. Autore dell’anno 2006, Monografie FIAF 2006]
A. Gilardi, Autoritratto, 1957

Ando Gilardi (1921-2012)

​Per quarant’anni ho sofferto questo tormento: dovevo fotografare come Bresson o come Strand? Dovevo usare la Leica a mano libera o la Linhof sul cavalletto? Quando ho scoperto la vertità (usare la Leica sul cavalletto e la Linhof a mano libera) era tardi, ero vecchio e camminavo a fatica.
(…) Chi fotografa non può, come chi scrive o dipinge, tradurre facilmente in opera quello che ha nella testa; chi fotografa deve trovare da qualche parte la cosa che dia forma ai suoi pensieri; se è fortunato può incontrarla anche subito, se non è fortunato mai.

[cit. in “Progresso Fotografico” n° 10, dicembre 1996 - gennaio 1997, Editrice Progresso, Milano 1996]
E. Boubat, Sahara, 1953

Édouard Boubat (1923-1999)

​Nella fotografia, la cosa più bella è l’attimo dell’inquadratura. Nel momento in cui inquadro una persona o un paesaggio Boubat non esiste più. Ecco il segreto: Boubat non esiste più, il villaggio non esiste più, in quell’attimo facciamo parte di un tutto, non siamo più separati dal paesaggio, dalle persone davanti a noi. Per questo non noto i dettagli: non c’è più niente, non vedo più niente pur continuando a vedere.

[cit in AA.VV., Édouard Boubat. Fotografie, ed. Contrasto, Roma 2004]
M. Giacomelli, Paesaggi, 1980-1981

Mario Giacomelli (1925-2000)

​Il mio interesse primario è sempre stato l’uomo. Anche i paesaggi, per me, sono il ritratto degli uomini che li creano. (...) Per me è importante il momento dello scatto, questo incontro-sorpresa con qualcosa che ti prende.

[cit. in Mario Giacomelli, a cura di Luigi Carluccio e Attilio Colombo, collana “I Grandi Fotografi”, ed. Gruppo Editoriale Fabbri, Milano 1983]
F. Roiter, Istanbul, 1963

Fulvio Roiter (1926-2016)

​Tutto il mondo visibile mi attrae, senza quasi alcuna gerarchia di valori, e non certo per farne un confuso inventario ma per tentare di scoprire, delle molte cose viste, un aspetto nuovo ed essenziale, quasi un segreto che di volta in volta sarà umano, plastico o anche soltanto decorativo.

[cit. in Come fotografa Fulvio Roiter, a cura di Lanfranco Colombo, collana “Il diaframma International Photographers", n. 276/5 Novembre 1984, ed. Diapress s.r.l., Milano 1984]
A. Camisa, Mezzanotte alla stazione centrale, 1954 ca.

Alfredo Camisa (1927-2007)

​Vi sono fotografi che scattano le loro immagini con le dita e con l’occhio, altri che lavorano con il cervello e il cuore. La mia fugace presenza nella Fotografia Italiana credo che mostri abbastanza chiaramente quale sia stata, sin dall’inizio, la mia “scelta di campo”.

[cit. in AA.VV., Alfredo Camisa. Autore dell’anno 2007, Monografie FIAF 2007]
P. Branzi, Ritratto della Signora Ada T., 1954

Piergiorgio Branzi (1928-2022)

​La via più vera e propria della fotografia è indicata da ciò che le proprietà del mezzo stesso suggeriscono e determinano. Afferrare, in una frazione di secondo, un’immagine ben composta e personale, che abbia la proprietà e la forza di divenire mezzo di espressione, di comunicare e di raccontare ad altri un fatto, una contingenza storica, una situazione umana. (…) È  deprecabile limitarsi a vedere nella forma l’unica possibilità di esplicazione della fotografia, senza sforzarsi di dare ad essa un contenuto che la valorizzi storicamente.

[cit. in Sandra S. Phillips, Paolo Morello, Piergiorgio Branzi, collana Maestri della fotografia italiana del Novecento, ed. Istituto Superiore per la Storia della Fotografia, Palermo 2003]
G. B. Gardin, Sotoportego de la Malvasia, Venezia, 1958 ca.

Gianni Berengo Gardin (1930)

(…) amo il grandangolo. I fotoamatori, di solito, amano i tele, perché cercano di isolare le situazioni. Io preferisco il grandangolo, perché non voglio solo mostrare l'azione, ma anche l'ambiente.

In fondo, la foto artistica non mi interessa, mi interessa il documento. Indubbiamente la fotografia è un fatto culturale, su questo non ci piove. Ma non so fino a che punto la si debba considerare un'arte. Può capitare che io faccia una foto talmente riuscita, che qualcuno dirà: «è un'ope­ra d'arte!» - ma sarà lui che lo dirà, non sarò io. Io mi accontento di essere un foto­grafo, anzi, ne son fiero!

 

[cit. in GIANNI BERENGO GARDIN, ed. Contrasto, Roma 2005]

P. Donzelli, Dalla serie "Delta de Po" Il sarto-barbiere di Scardovari, 1954

Pietro Donzelli (1931-1998)

Per le prime esperienze “artistiche” mi dedicai ai paesaggi. (…) Ma presto capii che quello non era il mio genere. Allora orientai le ricerche verso l’uomo e gli ambienti in cui vive. La guerra aveva lasciato in me segni profondi: il contatto quasi quotidiano con la morte e i compromessi subìti per difendere il diritto alla sopravvivenza mi spingevano alla ricerca di immagini capaci di comunicare agli altri il mio stato d’animo, i miei sentimenti e il mio pensiero.

 

[cit. in Pietro Donzelli, a cura di G. Calvenzi e R. Siebenhaar-Zeller, ed. Contrasto , Roma 2006]

G. Umicini, Viareggio, 1990

Giovanni Umicini (1931-2020)

Fotografare per me è riuscire a fermare un’immagine normalmente non veduta e “non voluta vedere” per riproporla a coloro che l’hanno evitata. Quello che cerco è catturare l’isolamento e la solitudine dell’individuo sorpreso nel suo spazio quotidiano. Pertanto le mie immagini debbono essere rubate: una Leica, due obiettivi e pellicola non meno sensibile di 400 ISO sono tutto ciò che mi serve oltre alla mia libertà.

 

[cit. in Umicini, a cura di Giorgio Segato, ed. Panda, Padova 1991]

I. Zannier, Latisana, architettura di Marcello D'Olivo, 1957

Italo Zannier (1932)

​La qualità dell’immagine fotografica, quindi il suo messaggio, non risiede nella tecnica - così come quella del linguaggio verbale non risiede nel vocabolario - ma nella capacità dell’intelligenza di scegliere e di proporre i messaggi.

[cit. in Italo Zannier, Storia e Tecnica della Fotografia, Ed. Hoepli, Milano 2009]
J. Sieff, Normandia, 1980

Jeanloup Sieff (1933-2000)

​Le buone fotografie sono molto rare e sfuggono a qualsiasi definizione, ma hanno tutte un punto in comune: l'emozione che suscitano va oltre l'immagine che rappresentano, il loro significato è molto più ricco di quello che sembrano suggerire, emanano una lieve musica... hanno, insomma, qualche cosa di miracoloso.

[cit. in Jeanloup Sieff, a cura di Jeanloup Sieff e Giuseppe Bonini, collana “I Grandi Fotografi”, ed. Gruppo Editoriale Fabbri, Milano 1982]

 
M. Jodice, Vedute di Napoli, opera n. 29, 1980

Mimmo Jodice (1934)

​Sul piano della creatività, bisogna muoversi guardandosi dentro e non fuori. Bisogna fare cose che coincidano con la propria immaginazione, i propri desideri, i propri sogni.
(…) E le mie immagini sono i miei pensieri.

[cit. in Mimmo Jodice. La camera incantata, a cura di Isabella Pedicini, ed. Contrasto, Roma 2013]
L. Ghirri, Ferrara, 1981

Luigi Ghirri (1943-1992)

​La fotografia si esplica sempre all’interno di un dualismo perfetto. Se uno ci pensa, nella fotografia c’è il negativo e il positivo. È un rapporto tra la luce e il buio. È un giusto equilibrio tra quello che c’è da vedere e quello che non deve essere visto.

[cit. in Luigi Ghirri. Lezioni di Fotografia, a cura di Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro, ed. Quodlibet Compagnia Extra, Macerata 2010]
A. Webb, Encarnación, Paraguay, 1990

Alex Webb (1952)

Non sono un tipico fotografo di documentazione né un fotogiornalista, ho esplorato il mondo con la macchina fotografica, lavorando soprattutto come fotografo di strada, lasciando che il ritmo e la vita di questa realtà guidassero e permeassero il mio lavoro. Per quanto mi riguarda è dalla strada che viene tutto.

​

[cit. in ALEX WEBB, La sofferenza della luce. Trenta anni di fotografia, ed. Contrasto, Roma 2011]

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